Lenore Bryck è una scrittrice e traduttrice volontaria del Programma di educazione alla pace (PEP). La sua storia parla dell’efficacia di questo programma e di basa su un dialogo tra “Julia”, una volontaria del PEP in America Latina, e “Maria”, detenuta in un carcere femminile di massima sicurezza. I nomi sono stati cambiati oppure omessi per mantenere la privacy.
“Oggi ti ho sentito dire qualcosa che mi ha fatto piangere, quando hai parlato della guerra e di come la guerra inizi all’interno delle persone.” Così scrive Maria a Prem Rawat da dentro le mura del carcere di massima sicurezza in cui si trova da 18 anni. “Come la maggior parte delle persone, anche io ho sempre cercato la pace all’esterno di me. Pensavo che fosse una cosa che dovevo ottenere con la forza e soltanto stabilendo prima la giustizia sociale.”
Maria è stata messa in prigione a causa del suo ruolo in un movimento rivoluzionario paramilitare che cercava di instaurare uno stato socialista e di liberare il Paese dall’imperialismo. Essi credevano che ci fosse un radicato sistema di discriminazione che impoveriva la popolazione e che fosse necessario compiere azioni violente per ottenere un cambiamento. Il governo ottenne un potere quasi dittatoriale per contrastare le azioni terroristiche sempre più frequenti da parte di vari gruppi della guerriglia. Molti accusarono i militari di un comportamento ugualmente crudele e di essere colpevole di massacri, abusi, torture e incarcerazioni di massa senza regolari processi. Nel mezzo di questo conflitto, i cittadini soffrirono traumi violenti, furono privati dei loro diritti umani fondamentali e l’economia ne risentì grandemente.
Sono queste le ceneri oscure da cui sta risorgendo questa fenice. Dopo molti anni in prigione, non solo rinchiusa dalle sbarre e dalla perdita delle propria libertà personale e del contatto con i propri cari, ma anche preda di una disperazione profonda, Maria sente di stare pian piano guarendo. Il Programma di educazione alla pace è stato una componente vitale nel suo processo di crescita, oltre alla psicoterapia, all’amicizia e ai laboratori effettuati in prigione. Nel corso di varie conversazioni Maria descrive come, giorno dopo giorno, stia scoprendo la propria essenza, stia ritrovando il proprio vero essere e riconciliandosi con se stessa; di come si stia riempiendo di compassione e rispetto crescenti e stia perfino recuperando il rapporto con suo figlio.
Julia, la facilitatrice del PEP, riporta qui una conversazione recente in cui Maria parla dell’amore, della colpa e della speranza riguardo al figlio. Si rammarica del fatto che le proprie azioni passate lo abbiano fatto soffrire, di come il ragazzo sia dovuto crescere da solo, sentendosi colpevole e perseguitato. Si è creato una propria identità, a cui però mancavano dei pezzi. Lui l’ha bandita dalla propria vita e si è rinchiuso in se stesso. Per anni non si sono visti affatto, ma adesso va meglio. Durante la sua ultima visita, il figlio ha detto a sua madre: “Mama, te veo mejor. … vedo che stai meglio, meglio di prima, meglio di tanta gente che sta là fuori e che è libera.”
Maria è riuscita a far avere a suo figlio un DVD di un discorso di Prem Rawat. Spiega che nel messaggio di Prem Rawat non ci sono secondi fini e che se suo figlio è interessato, potrà guardare e imparare per conto suo.
Spera intensamente che suo figlio abbia un destino diverso: di essere libero da un altro tipo di prigione, derivante dalla deprivazione e dall’angoscia mentale, e senza soffrire per le conseguenze della violenza. Maria dice a Julia che adora il figlio più di ogni altra cosa, che per lui vuole il meglio, e sente che il messaggio di Prem Rawat è il meglio.
Ci sono poi i modi apparentemente minori in cui Maria dice di sentirsi sorpresa dei propri progressi. Racconta di un incontro con le autorità carcerarie per discutere di alcune lamentele delle detenute riguardo ai cambiamenti che si stavano introducendo, come l’eliminazione del tempo da passare all’aperto, in cui si poteva passeggiare. Maria si sente orgogliosa di come ha saputo sostenere i propri diritti adesso, in modo efficace, con reciproco rispetto e senza l’aggressività e le grida che la caratterizzavano prima.
Maria ringrazia Julia di essere venuta nella prigione a portare il PEP. “Quello che stai facendo – dice – è davvero prezioso per me, perché questo programma mi sta donando una nuova vita.” Mentre entrambe piangono Maria, sopraffatta dalla gratitudine, porge a Julia una lettera che ha scritto a Prem Rawat, la prima volta che lei abbia mai scritto una cosa del genere.
In questa lettera Maria esprime la speranza che il Programma di educazione alla pace possa essere offerto a tutti, cosicché nessuno debba soffrire come lei delle conseguenze di azioni distruttive e dell’errata convinzione che la pace possa arrivare tramite la guerra. “Quando guardo i video dei tuoi discorsi penso che se tanti anni fa avessi solo saputo di quello che insegni, ora non sarei in prigione. Ma allora dico a me stessa che questo momento, il presente, sostituisce tutto. Ho dovuto toccare il fondo più totale per sentire tutto ciò che il tuo messaggio evoca in me. Ti ringrazio di avere questo progetto per i carcerati. Mel mio Paese ci sono molte donne in carcere per molti motivi. Abbiamo bisogno di guarire le nostre ferite e di liberarci dalle convinzioni che ci fanno soffrire.”
Foto di J. Carlos











